“Capodanno, mi stai sul cazzo”. Così si leggeva, giusto un anno fa, in uno status di una ragazza su Facebook. La ragazza, giovane, ha le idee ben chiare su cosa abbia voglia di fare e cosa no durante una notte in cui ci obbligano a spendere soldi, sparare botti, andare a ballare, mangiare lenticchie, indossare intimo rosso o baciarci sotto il vischio. Oppure a vedere il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica, o peggio a vedere trenini di dubbio gusto in TV, con gente che paga 50 centesimi un SMS con la speranza di comparire nella striscia sotto quelle insulse trasmissioni.

Questo sarebbe tuttavia il meno, quando poi ti rendi conto che non puoi sfuggire allo stile di vita imposto da anni di consumismo, e ti ritrovi a dover immolare la tua credibilità sull’altare della più bieca delle consuetudini: il countdown con annesso trenino di Brigitte Bardot Bardot. Ma tant’è, quindi ieri sera, un po’ per forza, un po’ per gioco, mi sono prestato a questo inutile rituale apotropaico.

Inutile perché quello che è uno strisciante sentore della vacuità della festa si concretizza scorrendo le timelines dei social network. E allora viene facile un gioco. Andiamo a vedere le timelines dello scorso anno, e quelle di due anni fa. Cosa cambia? Soltanto l’ultima di un numero di quattro cifre. Gente che urla insoddisfatta all’anno appena trascorso, che è stato brutto, spiacevole, foriero di eventi cattivi. Gente che guarda con speranza al nuovo anno, convinta che sarà migliore, salvo poi arrivare a conclusione e ripetere esattamente quello che aveva espresso l’anno prima, e quello prima ancora.

Ti viene da pensare che questo sia un aspetto del male di vivere che Montale non aveva colto, o che forse aveva colto molto bene. Ciclicamente, per scadenze imposte, ci costringono a fare delle cose, a seguire dei rituali pagani, e tutto ciò si intensifica nel periodo tra dicembre e gennaio. Ciclicamente ci troviamo a dire e a fare le stesse cose, a sperare che le cose cambino, a constatare che non sono cambiate. Fino alla fine dei giorni.

Allora io dico che è ora di prenderci quello che abbiamo, di godercelo, di non fare bilanci, di vedere che succede. E assecondarlo, senza star qui con tante aspettative che saranno immancabilmente quasi tutte deluse.

E chiedo che per la fine del 2014, come ho scritto nell’immagine che accompagna queste parole, mi si lasci vivere la notte tra il 31 e il 32 dicembre come la notte tra il 9 e il 10 febbraio, o come quella tra il 16 e il 17 giugno. Perché il capodanno è una convenzione e non uno stato d’animo, e affinché rimanga convenzione teniamoci l’unica cosa bella che ci propone: il concerto di Vienna, con il suo Danubio Blu.