DJ e Larry Bird

E’ sorprendente quando la morte è passata e tu non te ne sei accorto. E’ accaduto qualche giorno fa, mentre guardavo una partita dei Celtics in differita. L’allenatore, Doc Rivers, aveva sulla giacca un pin con su un trifoglio e il numero 3. All’inizio non ho capito, poi quando i commentatori, dando per scontata la notizia, hanno cominciato a ripercorrere la carriera di Dennis Johnson, ho sospettato il peggio.

Ci ha pensato la rete a darmi conferma. Eh sì, DJ ci ha lasciati lo scorso febbraio, a 52 anni, per colpa di un attacco di cuore. E a me sembra strano che uno dei miei eroi di quando ero ragazzo non ci sia più, portato via in un modo tanto improvviso quanto inaspettato. Non è il primo lutto sportivo a cui assisto. Gaetano Scirea, Andrea Fortunato, Reggie Lewis… Però DJ è diverso. Rappresenta la mia adolescenza, rappresenta il mio amore per il basket, un indirizzo che lui, assieme ai suoi compagni, mi hanno dato.

Tutto qua. Ricordare DJ non è soltanto doveroso, per me, ma è un’iniziativa che nasce da dentro. Sofferta, ponderata, attuata.